L’uva ed il vino: un’odissea alla ricerca di un approdo
La vigna, l’uva ed il vino hanno accompagnato le popolazioni e le civiltà dai tempi più remoti ma noi non riusciamo a comprendere appieno questa straordinaria ricchezza. Probabilmente, sarebbe utile, istruttivo e piacevole, ripercorrere le testimonianze che ci forniscono l’archeologia dei territori, la letteratura a partire dagli scritti e rappresentazioni più antiche, per proseguire nelle infinite tappe tra i secoli fino al nostro tempo. Quest’ultimo (1950-1975) è il periodo nel quale si definiscono meglio i vitigni, si modifica sensibilmente la coltivazione del vigneto, si arricchisce la conoscenza sui processi della fermentazione dell’uva e sulla successiva evoluzione ed allevamento dei vini. E’ anche il periodo nel quale il tecnico consolida il suo operare prevalentemente in cantina e si occupa poco delle vigne e dell’uva: deve ‘trasformare’ tutto quanto arriva e con ogni mezzo ‘consentito’ da leggi sempre più articolate, pur di raggiungere lo scopo: le scelte guida fondamentali diventano la crescita produttiva ed il contenimento dei costi con i mezzi più innovativi.
Pensavo, recentemente, che ho avuto l’opportunità di osservare il realizzarsi di questo passaggio storico con i suoi importanti cambiamenti, essendone testimone e partecipe.
Ho un ricordo altrettanto lucido di mio padre il quale, protagonista del periodo precedente, mi disse nel constatare il cambiamento: “per noi artigiani del vino è venuto il momento della sconfitta: ora il vino ‘lo fanno’ in cantina, lo creano come piace al consumatore, ne producono tanto”. Per i tempi successivi (1954-1974) mio papà fu profeta e noi si sopravvisse solo grazie ad una clientela affezionata che già mio nonno aveva servito: momenti duri ma anche belli e spontanei come ad esempio il ricordar le magnifiche vendemmie con tanti amici e parenti, la prolungata degustazione in cantina di ogni botte e poi la partecipazione al pranzo per i clienti (mamma si era preparata da giorni!) che poi molto lentamente riuscivano a ripartire col sorriso tra le botticelle di rosso cerchiate sul camion ‘Leoncino OM’ grigio.
Arrivarono gli anni ’80, nei quali l’uva riacquistò poco a poco il suo fondamentale valore. I vigneti ricevevano più cure, si riducevano le produzioni anche con il dirado dei grappoli e con le ‘contestazioni’ dei nonni che avevano una recente storia di sacrifici e continuavano a raccogliere gli acini caduti a terra ..
Tale periodo, segna anche l’inizio di una nuova esigenza: il vino diventa un mondo di persone appassionate e totalmente immerse nella cultura, storia e nell’emozione del convivio. Periodo che scuote tutto il mondo ed in cui alcuni territori realizzano un importante successo attraverso ingenti investimenti di capitali ed energie umane. Un rinascimento reale soprattutto per alcuni illuminati e benemeriti che portarono il prestigio del vino buono in ogni angolo della Terra.
Naturalmente proseguirono anche le scelte produttive volte a standardizzare i vini, isolarli dai territori di origine, fino a produzioni facilmente riproducibili altrove o addirittura prodotti simbolo del ‘nulla’, sorretti da intensa tecnica in vigna e cantina ed efficace attività pubblicitaria.
In tale periodo stava comunque crescendo una forte richiesta di autenticità e bellezza in molte nostre abitudini e comportamenti. Dopo le ‘merendine con la sorpresa’, dopo l’abbondanza di surrogati di ogni genere e categoria (abitazione, abbigliamento, ambiente, cibo.. vacanze) era ben chiara la richiesta di valori più veri, originali, genuini, naturali. Il nostro nutrirsi ritornava quale grande collante di convivio e di speranza di salute (prima ci si nutre bene, poi si chiacchiera, si pensa e si impegna meno il medico).
Il settore alimentare è stato oggetto di legislazioni anche ingannevoli verso l’autenticità e che hanno creato difficoltà al consumatore nel comprendere la provenienza della merce (carne, cereali, latte, olio di oliva, ortofrutta e.. vino). Ma il vino quanto è ancora autentico?
L’uva viene prodotta in tantissimi ambienti, con metodi anche molto differenti ed altrettanto è per il vino che ne deriva. In diversi casi il vino volge verso gusti semplificati e standard che vanno nella direzione di soft-drink… Non è infrequente, peraltro, sentire parlare di vini che invecchiano molto bene, si parla di annate strepitose, si realizzano le ‘verticali’, le aste di vendita.. ma ci siamo mai chiesti quanto questi vini sono veri? Oppure ricevono pericolosi conservanti come la SO2? Perché il compratore non deve saperlo?
La vera vita di un vino si misura solo se è stato prodotto senza interventi di conservanti ne additivi , diversamente ci dobbiamo dichiarare. E qui mi sovviene la lettura di Columella nel libro De Rustica due “Consideriamo il vino migliore quello che può invecchiare senza additivi; niente deve essere mescolato con esso perché ne altera il suo gusto naturale. I più eccellenti vini sono quelli che hanno fornito il piacere migliore solo attraverso le loro qualità naturali “
Il successo del vino ha sempre portato, quasi ovunque, verso forme di monocoltura con le relative serie problematiche; quindi la loro sostenibilità ambientale diventa imprescindibile e dovrebbe essere regolamentata e ‘sentita’ da tutti per contenere le conseguenze negative sul territorio. Le vigne ‘consumano’ il terreno ed inquinano tanto, in contrasto con la bellezza ..da qui la necessità di coltivare meglio.
Così ho pensato che potremmo riassumere in poche frasi, un modo di produrre forse migliore, più autentico e giusto.
- Le vigne devono corrispondere ai criteri di sostenibilità ambientale e creare le basi per vini che portano il carattere del luogo da dove giungono. Il produttore deve lasciare esprimere l’ambiente nella maniera più vera ed esercitare la coltivazione che raccolga e trasferisca i caratteri peculiari di quel sito dal quale deriva e che lo collega alla storia. Ricordarsi che il terreno ‘domina’ la pianta della vite, dalla prima crescita fino al gusto del vino. Vi è necessità di rivalutare le vigne vecchie, di portare al consumatore vini veritieri che raccontano la provenienza, la stagionalità, i vitigni del luogo: questa è la scelta più forte e culturalmente ed intellettualmente più ricca.
- Il vino, prima di essere buono deve essere vero, ossia corrispondere esattamente alla realtà, quindi franco, genuino, onesto, sicuro, sincero. Poi deve essere buono, meglio se molto buono e salubre: Il vino ci deve trasmettere vere emozioni e la sua magia risiede anche nel renderci più ‘genuini’ verso noi stessi e possibilmente anche verso gli altri. Bisogna evitare di mistificare il vino attraverso interventi di pubblicità ingannevole, obsoleta o fuorviante: il vino è materia culturale imponente, merita grande rispetto e maturità d’animo.
- La legislazione attuale è da rivedere, realizzando un ‘bignami’ con poche regole chiare ed inequivocabili e facendole poi rispettare. La legislazione attuale è ‘opaca’ e carente di contenuti utili per chi deve effettuare l’acquisto; è incredibile che al consumatore si neghi la possibilità di trovare in etichetta quanto scritto per qualsiasi altro prodotto alimentare (cosa si è introdotto, tolto.. compreso tutto quanto non proveniente dall’uva). Le categorie di produttori devono essere rese più trasparenti: dopo il prezioso brand di ciascuno andrebbero introdotte le diciture veritiere di ‘industria, imbottigliatore, artigiano’, ecc. (con scritta ben visibile);
- La scuola esistente, con la quale si dovrebbe collaborare, richiede un ripensamento, arricchendo i programmi con una educazione che consideri maggiormente le discipline dell’agricoltura sostenibile, della viticoltura dei territori e loro storia, del vino quale prodotto nobile ed autentico. Le discipline scolastiche integrate, in una logica più articolata e funzionale ai temi dell’economia sostenibile: la materia agricola è ’organismo’ complesso, dinamico , fragile e deve ricevere una preparazione complessa (farming today and tomorrow: ricordiamoci che noi abbiamo dei benefici che ci arrivano dal passato!).
- Da pochi decenni abbiamo disatteso anche profondamente le regole più elementari della buona agricoltura, scegliendo invece un profitto rapido, miope e dissennato; le conseguenze sono ben evidenti nelle sempre più complesse problematiche delle avversità patologiche per ogni coltivazione, nella perdita di fertilità dei terreni e nella perdita di entusiasmo di molti addetti.
- I giovani, se professionalmente ben educati e preparati, rappresentano la concretezza del futuro ma occorre ‘costruirli’ e verificare che la loro ‘entrata’ in agricoltura sia una scelta totalmente consapevole anche se incoraggiata da incentivi economici. Le loro capacità e la costante preparazione sono il patrimonio necessario del loro destino e di coloro che li succederanno.
- Infine, ma non certo ultimo, un possibile strumento utile per verificare i potenziali impatti ambientali generati nelle varie fasi della produzione del vino aiuta il produttore a crescere ed informa immediatamente il consumatore della strategia produttiva dell’azienda che sta per scegliere: il calcolo del Carbon footprint – Environmental Life Cycle Assessement.
“La maturità dell’uomo significa aver ritrovato la serietà che si metteva nel gioco da bambini”.
( Friedrich Wilhem Nietzsche)
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